domenica 3 aprile 2011

Gratta l'antifascista e ci trovi il sionista...



Posto nel mio blog questo articolo di Miguel Martinez, molto interessante...

Posted on 12/16/2010 by Miguel Martinez
L’artista tedesco, Ottmar Hörl, decide di fare un’affermazione politica. E così, nell’ottobre 2009, allinea 1.250 nani da giardino, oggetto tedesco per eccellenza, in una piazza di Straubing. E tutti e 1.250 salutano a braccio teso. Così Ottmar Hörl dice, in sostanza, ciò che è tedesco è nazista e quindi criminale, e questo è un pensiero straordinariamente tedesco.

Dove il dispiacere di dire, allora sono un criminale per nascita anch’io è compensato dall’immenso piacere di poter condannare decine di milioni di connazionali.

Ottmar Hörl fa la sua provocazione in Germania, e i tedeschi reagiscono di conseguenza: denunciandolo perché la legge tedesca vieta di tendere il braccio destro avanti e in alto. E il giudice, molto tedesco, prende sul serio il caso, e solo alla fine decide di assolvere Ottmar Hörl.

Ora, se io guardo i nanerottoli di Ottmar Hörl, la prima cosa che noto è che hanno la pelle nera, la faccia mediorientale, gli occhi a mandorla e la barba da musulmani. Cose di cui l’immaginario tedesco non si accorge nemmeno.

La Germania, con la sua lingua incomprensibile, sembra una sorta di grande vuoto in Europa.


La famosa rieducazione della Germania è soprattutto autorieducazione, autocensura, autocondanna; e se occorre, autodemonizzazione.

Tutto è giocato sull‘allusione simbolica – la frase che ricorda la frase, il simbolo che ricorda il simbolo: come se uccidere fosse un male, solo perché lo hanno fatto i nazisti e non viceversa.

A questa condanna, si reagisce con un intenso risentimento e un desiderio di liberazione che spiega la natura particolarissima dell’estrema destra tedesca, così diversa da tutte le altre d’Europa.

A leggere i materiali degli opposti schieramenti, si resta con la sensazione di un mondo autoreferenziale, di bianchi che si chiedono, “io chi sono dopo Hitler?” Ma un tedesco che pensa, “mi amo” e un tedesco che pensa, “mi” odio, è pur sempre un tedesco che pensa a se stesso, escludendo completamente le circa 15 milioni di persone che abitano in Germania e che non hanno avuto parenti né nella Wehrmacht, né nei lager. Quindici milioni di persone che solo adesso, per la prima volta, hanno avuto un ministro al governo (quello della salute, di origini vietnamite). Il governo conservatore del Niedersachsen ha suscitato forti reazioni, nominando un ministro per gli affari sociali di origini turche, la signora Aygül Özkan, ovviamente moderatissima, laicissima e cautissima.

Ne derivano due cose importanti per la materia che ci interessa: l’islamofobia introduce comunque un elemento di realtà, che permette a molti di destra di uscire dallo psicodramma; e l’area antifascista non è sempre più aperta di quella nostalgica.

Abbiamo visto come Patrik Brinkmann, giocando sui simboli (oltre ai soldi) abbia inventato un ambiente islamofobo, liberista, occidentalista, filoamericano e filoisraeliano.

Adesso vediamo come si possa partire da premesse esattamente opposte e manipolare i discorsi per arrivare alle stesse identiche conclusioni di Brinkmann.

Il 13 febbraio 2005, a Dresda, circa 200 persone celebrarono il cinquantenario del bombardamento della città per ordine di Arthur Harris – decine di migliaia di profughi, civili e prigionieri di guerra sterminati da 1300 bombardieri angloamericani.

I manifestanti spiegarono una grande bandiera israeliana e uno striscione (con i colori israeliani). Sullo striscione, le parole, “Tutte le cose buone vengono dall’alto!” e l’immagine di una bomba.

L’anno prima, gli stessi individui avevano festeggiato l’anniversario precedente, marciando per le strade di Monaco al grido corale di “Bomber-Harris, töte noch einmal deutsche Frauen und Kinder!” – “Bomber Harris, uccidi ancora donne e bambini tedeschi!”

Denunciati in base ai numerosi e fantasiosi capi di cui dispone la legge tedesca, il procedimento fu subito archiviato.

Qui siamo molto tolleranti con gli estremisti che si divertono a dire cose esagerate, ma i media non lo sono. Tranne in casi come questo.

Comunque adesso avete un’idea di chi sono gli Antideutsche.

La corrente Antideutsche, “anti-tedesca”, è sorta all’interno dei Verdi e dell’estrema sinistra (in particolare il gruppo maoista Kommunistischer Bund), e all’inizio indicava un’opposizione alla riunificazione della Germania.[1]

Il movimento fu però preso in mano da intellettuali che non provenivano da alcuna esperienza politica, come Wolfgang Pohrt [2], Sebastian Voigt, Thomas von der Osten-Sacken e Stephan Grigat. Gli ultimi tre collaborano con Achse des Guten, il sito neocon di Henryk M. Broder, notissimo editorialista di Der Spiegel, il settimanale tedesco più venduto in Germania.

Anche Broder viene da sinistra, ma oggi è un neocon all’americana, senza le particolari posizioni degli Antideutsche; ciò non toglie che sia il loro principale protettore. La filosofia di Broder è semplice:

“E’ vero, Israele oggi è più reo che vittima. E’ bene e giusto che sia così, visto che gli ebrei per quasi duemila anni hanno sperimentato il ruolo di vittima e così hanno fatto solo brutte esperienze. I rei di soliti hanno una vita più lunga delle vittime, ed è più divertente essere reo che vittima”.[3]

Nella sua rubrica, Henryk Broder dà sfogo a tutte le passioni tedesche contro ciò che chiamano Multikulti e Überfremdung (all’incirca, “invasione di stranieri”), ottenendo gli applausi ad esempio di esponenti dell’NPD, che a prima vista dovrebbero essere il contrario esatto degli Antideutsche.

Nel 2008, è uscito il libretto di Broder, Hurra, wir kapitulieren (“Evviva, ci arrendiamo”), un testo che parla di “nazislamismo” e ripete la solita sfilza di ben noti luoghi comuni. Il fatto significativo è che questo libretto è stato diffuso dall’Ufficio federale per l’educazione politica (Bundeszentrale für politische Bildung, in Germania esiste anche questo…), assieme a Feindbild Christentum im Islam, “La cristianità come spauracchio nell’Islam” della militante evangelica Christine Spuler-Stegemann, che mette in guardia contro il “dialogo interculturale” con i musulmani. La sede della Sassonia dello stesso ufficio ha convocato “insegnanti, agenti di polizia, studenti e militari” ad ascoltare le conferenze di Broder.


Bruce Bawer e Henryk Broder
In questa foto, vediamo Henryk Broder, sponsor della sinistra Antideutsche, a una conferenza in Danimarca (ottobre 2008), mentre dichiara: “Non può esserci islamismo senza Islam. E’ la stessa cosa con un marchio diverso. Non esiste il multiculturalismo. La sinistra e l’Islam condividono lo stesso odio per l’Occidente e la libertà”.

Ma cosa c’entra il fallaciano Broder con gli Antideutsche? Gli Antideutsche arrivano a Broder con una tesi a suo modo consequenziale. Sentite come viene costruita, perché è un capolavoro dialettico.

Gli Antideutsche sono comunisti, e quindi internazionalisti. Non si fanno ingannare dal patriottismo che porta a stragi. Viva Rosa Luxemburg. A modo suo, la premessa per un sano pacifismo.

Solo che i tedeschi non sono uguali a tutti gli altri.

I tedeschi sono peggio, perché sono strutturalmente nazisti. E’ una condanna ereditaria, da cui si salvano solo pochi eletti, appunto gli Antideutsche, anche (ma questo non viene detto) grazie alle loro benestanti origini sociali.

Perciò, chiunque sia di sinistra deve combattere in primo luogo, non il governo tedesco, ma proprio i tedeschi, o almeno ogni elemento di cultura o forza politica o economica tedesca.

Chi sono i nemici dei tedeschi? Gli americani e gli israeliani.

Gli americani sul piano pratico, perché possono domare la Germania con la loro forza militare; ma gli israeliani sul piano simbolico, perché gli ebrei sono l’etnia antitedesca per eccellenza: la dicotomia di Hitler viene così semplicemente rovesciata nel proprio opposto.

Chi è di sinistra deve quindi offrire bedingungslose Solidarität – solidarietà incondizionata – a Israele: nel 1991, Pohrt invocava le bombe atomiche israeliane su Baghdad. Stephan Grigat teorizza “l’imperativo categorico sionista” come base dell’agire politico. Chi non segue questo imperativo categorico, è un antisemita.

Allo stesso tempo, chi è di sinistra deve stare dalla parte del progresso.

Ora, il progresso si diffonde con la violenza, e quindi gli Antideutsche, partiti da premesse pacifiste, arrivano a sostenere tutte le attuali guerre statunitensi e a condannare il pacifismo come nazista e antisemita. Da qui l’esaltazione dei bombardamenti aerei sulla Germania durante la Seconda guerra mondiale e la proposta di costruire un monumento ad Arthur Harris, l’uomo che decise la strage di Dresda.

Nella scia dei sinistri pentiti – Hans Magnus Enzensberger, Wolf Biermann, Dan Diner – gli Antideutsche così sostengono totalmente la prima spedizione militare-imperiale tedesca dal dopoguerra, quella contro l’Afghanistan.


"L'antifascismo deve essere pratico! Contro l'antisemitismo e l'antisionismo! Solidarietà con Israele! (si noti la sigla di Antifaschistische Aktion, ma con il rosso sostituito dal colore israeliano)
Gli Antideutsche sono anticapitalisti e comunisti.

Ma se un tedesco critica il capitalismo, vuol dire che lo fa solo perché affetto da “antisemitismo strutturale”, cioè odia i mitici banchieri ebrei e sogna una “comunità di popolo”. Per questo, ogni protesta contro i tagli sociali nasconde un pericoloso spirito nazista, e va quindi stroncata. E così, gli Antideutsche sono anche arrivati ad aggredire fisicamente chi protestava contro lo smantellamento dello stato sociale. Nel novembre del 2008, una squadra di Antideutsche ha attaccato la sede del DKP (Partito comunista tedesco, oggi su posizioni marxiste-leniniste) a Halle, buttando giù le serrande e riempiendo le pareti con le parole “Save Israel“, “Smash DKP/SDAJ” (SDAJ è l’organizzazione giovanile del partito) e “Nazis raus” – la sede era dedicata a Helene Glatzer, una comunista uccisa dai nazisti nel 1935.

Durante una manifestazione nei giorni precedenti, contro la demolizione dello stato sociale, gli Antideutsche avevano filmato i partecipanti, gridando anche lì “Nazis raus” contro i manifestanti.


"Solidarietà con Israele - Negare il diritto all'esistenza della Germania"
Gli Antideutsche ragionano per categorie etniche e non di classe, che non è proprio ciò che ci aspetteremmo da marxisti.

Per farlo, adducono due motivi. Primo, ogni considerazione a proposito dell’esistenza di eventuali classi di sfruttatori costituirebbe una “teoria del complotto” potenzialmente antisemita. Secondo, gli Antideutsche aderiscono alla teoria della Wertkritik, diffusa in certi giri di teorici marxisti germanofoni. Correttamente interpretata o meno,[4] la Wertkritik permette agli Antideutsche di fare del capitalismo una pura astrazione, non incarnata in alcuna classe. Tutti sarebbero vittime del capitalismo, e quindi nessuno…

E poi, gli Antideutsche non dicono proprio etnie, ci mancherebbe: ci sono “costellazioni politico-economiche“, che inevitabilmente producono un “preciso carattere sociale tipicamente tedesco“. E il “carattere sociale” tedesco, sostiene l’Antideutsche Stefan Grigat, si trova tale e quale tra gli arabi, anzi in mezzo alla “barbarie islamista“. Ne conseguirebbe che qualunque geometra di Passau dovrebbe sentirsi a casa sua nei suq del Cairo. Forse da qui l’aspetto meridionale dei nani di Ottmar Hörl…

Poi la strada a destra si apre da sola: per il gruppo Antideutsche attorno alla rivista Bahamas, il neoliberismo è l’attuale via rivoluzionaria, perché il comunismo si realizza “con e non contro la storia”.

La divina Storia, la Mano Invisibile dei teomarxiani, oggi trova sulla sua strada un ostacolo: il reazionario Islamfaschismus, un termine che riprendono da Daniel Pipes:

“Oggi occorre constatare che le forze dell’anti-illuminismo e i nemici mortali della libertà si raccolgono sotto la bandiera di Allah”.

Chi combatte l’Islamofascismo? Gli eserciti degli Stati Uniti e d’Israele, che sono due Stati Nazione. Certo, ma si tratta di Stati Nazione progressisti e non reazionari, come sarebbe invece quello tedesco.

A dimostrazione del motivo per cui un buon marxista deve sostenere Stati Uniti e Israele, gli Antideutsche citano gli sproloqui antimessicani di Friedrich Engels. [5]

Un simile atteggiamento richiede una “rinuncia senza compromessi” all’antimperialismo, cioè alla constatazione che il sistema capitalistico si basa anche sul saccheggio degli altri; o almeno all’idea che ci sia qualcosa di riprovevole in tale saccheggio.

Ora, se l’anticapitalismo, la lotta per i diritti sociali, i problemi dei lavoratori, l’antimperialismo sono “cose da nazisti“, finiscono per diventarlo davvero: restano, cioè, patrimonio esclusivo dell’NPD, come sottolineano i critici di sinistra degli Antideutsche.

In Italia, a qualcuno che facesse un discorso come quello degli Antideutsche, direbbero, “ma quanto ti paga Berlusconi?”

In Germania, invece, le campagne degli Antideutsche si svolgono in due ambienti. Da una parte all’interno dell’area anarchica-autonoma-antifa, utile perché fornisce un certo numero di persone che si possono sempre mandare a picchiare qualunque cosa tu decida di chiamare fascista.

Dall’altra, gli Antideutsche operano all‘interno dell’ex-partito comunista (SED) della DDR, confluito nella coalizione di sinistra “Die Linke“. Ovunque, incontrano l’opposizione della maggioranza, ma dentro Die Linke, hanno trovato la protezione dei vertici veterocomunisti, che li usano anche per spingere gli iscritti verso posizioni più accettabili dalla politica ufficiale e come contrappeso ai propri soci nella coalizione, i seguaci di Oskar Lafontaine.

Von der Osten-Sacken, Grigat e Voigt hanno così potuto promuovere seminari sul Medio Oriente e addirittura aprire un dibattito sull‘opzione di un attacco militare all’Iran. Impossessatisi della federazione giovanile della Sassonia, gli Antideutsche – tra cui alcuni membri della Deutsch Israelische Gesellschaft (DIG) – sono riusciti anche a ottenere posti come assistenti di diversi deputati.

Die Linke ha accettato al proprio interno la formazione di un “gruppo di lavoro”, denominato BAK Shalom (Bundesarbeitskreis Shalom) – uno dei cofondatori, Michael Leutert, è attualmente deputato in parlamento, dove si dedica a denunciare i comportamenti critici verso Israele dei propri colleghi. Tanto è estrema la loro posizione, che un gruppo di pacifisti israeliani ha lanciato, ovviamente invano, un appello alla Linke contro BAK Shalom.


La "pace" di BAK Shalom
BAK Shalom si definisce “piattaforma contro l’antisemitismo, l’antiamericanismo e l’anticapitalismo regressivo tra i giovani di sinistra” ed è diretto proprio da uno dei tre principali teorici dell’Antitedeschismo, Sebastian Voigt. Thomas von der Osten-Sacken invece dirige una misteriosa ONG, Wadi e.v., che opera tra Israele e Kurdistan, mentre Stephan Grigat ha fondato la campagna Stop the Bomb (va da sé che The Bomb è quella, inesistente, dell’Iran), assieme al Mideast Freedom Forum Berlin (MFFB), una coalizione di “membri di organizzazioni ebraiche e di iraniani in esilio“, dedicata a “lottare per la sicurezza e sovranità d’Israele e contro l’antisemitismo e l’ostilità verso Israele”, che combatte contro “il regime islamista dell’Iran” e per un “Regime Change in Iran“. Ma su questo, ritorneremo.

Conquistate queste posizioni, hanno cominciato ad attaccare i pacifisti interni al partito, come Norman Paech e Ulla Jelpke, accusati di “antisemitismo”.

Così nel 2008, il principale esponente della Linke, Gregor Gysi (condannato come ex-collaboratore della Stasi alcuni anni fa), dichiarò la “solidarietà a Israele” del partito e condannò l’antisionismo.

Nei fini, nulla ormai distingue gli Antideutsche dagli islamofobi di Destra; ma il loro linguaggio fa appello a quello che potremmo chiamare l’altro polo del Monologo Occidentale.

Premessa l’assoluta certezza della propria superiorità, l’intellettuale organico del dominio occidentale sembra in grado di riconoscere solo tre possibilità per l’Altro – la sottomissione, l’eliminazione per annientamento o espulsione, o la conversione.

Per gli Antideutsche, i populisti di destra hanno la colpa di essere troppo tolleranti, perché si limitano a emarginare i musulmani, senza distruggerli e ricostruirli a propria immagine e somiglianza.

Con un tipico gioco dialettico, dichiarano che sono “razzisti” coloro che credono che non si possano insegnare loro i valori occidentali.

Mentre monta l’onda xenofoba più travolgente degli ultimi sessant’anni di storia europea, gli Antideutsche, di solito così solerti nel denunciare gli estremisti di destra, affermano che “l’insofferenza popolare” verso i musulmani non ha nulla a che vedere con l’antisemitismo, che invece sarebbe stato il motore primario della storia europea da 2000 anni; e accusare l’Islam di voler dominare il mondo non costituisce una teoria del complotto, ci spiega Stephan Grigat.

Nel numero 59 del 2010, la principale rivista AntiDeutsche, Bahamas, pubblicò un articolo di Sören Pünjer – collaboratore sia di gruppi sionisti che di gruppi antifa – a sostegno della English Defence League (EDL), intitolato Im Geiste Winston Churchills. In Großbritannien sorgt die English Defence League für Aufregung und Verwirrung (“Nello spirito di Winston Churchill. In Gran Bretagna, l’English Defence League genera eccitazione e smarrimento”).

Un movimento che sostiene che qualunque donna o bambino tedesco sia meritevole di morte per bombardamento, in quanto nazista; che definisce fascisti anche immigrati dalla Nigeria; improvvisamente si prodiga per dire che un movimento come l’EDL – composto da pittoreschi teppisti da stadio ubriachi e tatuati che agitano bandiere nazionali e invadono i quartieri dei migranti – non può essere definito fascista. Ma come abbiamo visto, il cavillo dialettico è la grande forza degli Antideutsche.

Però ci vuole fegato a dire che dei proletari inglesi somiglino all’aristocratico Winston Churchill. Casomai lui era più vicino proprio agli Antideutsche, visto che – testimoniando nel 1937 davanti alla Peel Commission sulla Palestina – disse:

“Io non credo che il cane in una stalla abbia diritto definitivo a quella stalla, anche se ci ha dormito per molto tempo. Io non ammetto quel diritto. Non ammetto, ad esempio, che un grande torto sia stato fatto ai Pellirosse dell’America o ai popoli neri dell’Australia. Non ammetto che un torto sia stato fatto a questa gente per il fatto che una razza più forte, una razza più elevata, una razza più saggia nelle cose del mondo, per dire così, sia arrivata e abbia preso il loro posto.”

Note:

[1] L’inventore del termine Antideutsche, Jürgen Elsässer, è oggi il principale avversario di ciò che gli Antideutsche sono diventati.

[2] Oggi Pohrt ha clamorosamente rinnegato le idee Antideutsche.

[3] „Es stimmt, Israel ist heute mehr Täter als Opfer. Das ist auch gut und richtig so, nachdem es die Juden fast 2000 Jahre lang mit der Rolle der ewigen Opfer versucht und dabei nur schlechte Erfahrungen gemacht haben. Täter haben meistens eine längere Lebenserwartung als Opfer und es macht mehr Spass, Täter als Opfer zu sein.“

Henryk M. Broder, “Freispruch fur Israel”, in Jüdische Allgemeine, 17.3.2005

Come tutti quelli che tifano da lontano, però, Broder ha un problema: cinque anni dopo, si lamenta:

“Israele ha passato la stessa evoluzione dell’Europa dopo il 1989, solo più rapidamente e in maniera più radicale… Israele si è disarmato mentalmente”.

[4] Mi rifiuto di leggere trattati di teologia marxista in tedesco per appurare il grado di ortodossia wertkritikista degli Antideutsche.

[5] Come tutti i teologi, gli Antideutsche fanno sempre appello all’autorità, con riferimenti continui ad Adorno, Horkheimer, Debord e al giovane Marx. Autori degni del massimo rispetto, ma che per la loro natura astratta e filosofica, offrono una grande flessibilità nell’applicazione pratica. E quindi possono servire come schermo per qualunque cosa. Mentre, Grigat ci spiega, il “marxismo tradizionale” – cioè quello che si occupa di fame e di ingiustizia – opera sempre come portale d’ingresso” per l’antisemitismo.

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